Si è parlato molto, giustamente, di Jobs Act in queste settimane. Una riforma, da qualunque parte la si guardi, importante del mondo del lavoro. Oggettivamente controversa che, ha visto una fortissima contrarietà da parte delle organizzazioni sindacali e di buona parte dell’opinione pubblica. Per molti ed anche per noi che abbiamo manifestato al fianco del sindacato vengono messi in discussione i diritti fondamentali dei lavoratori e, quelle stesse tutele conquistate con grandi lotte negli anni.

Tra le diverse ‘novità’ non positive vi è anche quella dell’abolizione dei contratti di associazione in partecipazione. Uno strumento talvolta usato male e forse anche abusato ma che non può essere cancellato d’un colpo senza una adeguata alternativa. Ciò è ancora più evidente per noi se solo pensiamo che in questi anni molti nostri circoli lo utilizzano per gestire la parte di attività legata alla somministrazione. Questa tipologia contrattuale aveva già subito una serie di modifiche sostanziali con il Governo Monti, ma in questo caso l’intervento legislativo è stato ancor più radicale tanto che, dalla data di entrata in vigore del decreto, l’associazione in partecipazione non sarà più utilizzabile nella forma che prevede l’apporto di lavoro da parte dell’associato. Un punto importantissimo per noi diventa quindi un problema da affrontare con urgenza, dato che risultano evidenti i rischi e le difficoltà per il mondo delle APS, soprattutto per quelle aderenti alla nostra associazione. Intanto dobbiamo prendere atto del passo indietro che saremo costretti a fare dopo aver, per lunghi anni, lavorato a convincere i nostri presidenti di circolo sull’opportunità data da questo strumento, per quanto non perfetto.

In secondo luogo, con la scomparsa di questo contratto vengono colpiti in particolare i circoli più piccoli, quelli da 100, 200, 300 soci per intenderci, quelli che non sono in grado di utilizzare le forme dell’assunzione o dell’affitto d’azienda. L’impressione, senza esagerare più di tanto, è quella di affrontare una delle più gravi crisi degli ultimi decenni, con il rischio di far sopravvivere solo l’Arci dei grandi numeri e far scomparire, appunto, i circoli più piccoli, quelli che spesso amiamo chiamare di prossimità. Ma è anche, anzi soprattutto, un problema di non scivolare sul livello meramente commerciale che snaturerebbe ulteriormente il nostro essere circoli ricreativi e non pubblici esercizi.

Terza, e non secondaria questione, siamo in una situazione in cui, ad oggi, non esistono alternative praticabili. Secondo il nostro Ufficio Studi nazionale, il contratto di associazione in partecipazione sembrerebbe largamente usato in diversi comitati regionali e quindi impatterebbe su una grossa fetta di tessuto circolistico. Diventa quindi importante – in tempi rapidissimi – verificare l’effettivo impatto sul nostro tessuto associativo per poi valutare possibili sinergie con altre realtà associative nazionali, come ad esempio le Acli, anche attraverso un impegno preciso di advocacy da chiedere in primis al Forum del Terzo Settore. Credo non si debba escludere nessuna strada, nemmeno quella di aprire una interlocuzione diretta con le organizzazioni sindacali. Insomma occorre muoversi, capire in che misura il nostro mondo è coinvolto e quindi adottare le soluzioni più efficaci. A me pare l’ennesimo attacco all’associazionismo.