Con questo editoriale voglio soffermarmi su un documento importante; un documento – che trovate in questa pagina – frutto di discussioni e di confronti, di scambi e di opinioni talvolta differenti. E’ il documento votato all’unanimità dal Consiglio Regionale che dice ciò che deve fare l’Arci, in Liguria, in vista delle prossime elezioni regionali. Non ci troverete nulla di eclatante o di strano ma solo la forte volontà di richiamare alcuni concetti che stanno alla base del nostro comune sentire.

Perché farlo? Ci sono momenti in cui ribadire concetti, valori e idee serve a non perdere la rotta, a non smarrire “quella parte buona della vita” scelta dall’Arci per stare al mondo. Lo diciamo certamente con un po’ di presunzione e ci scuserete. Questo infatti è uno di quei momenti – una fase della vita politica e sociale del nostro Paese – in cui occorre aggrapparsi ai valori per non farsi trascinare via dal vento e dalla tempesta. E’ al tempo stesso un momento in cui “vivacchaire” non è pensabile e che al contrario occorra mettere in campo coraggio e capacità critica. Anche e soprattutto autocritica. Vale certamente sul piano regionale dove, per la prima volta forse, ci ritroviamo con un contesto politico davvero cambiato, e non sempre in meglio. Ma crediamo valga anche sul piano nazionale.

I cambiamenti non ci spaventano, neanche quelli più traumatici ma, non si possono affrontare con superficialità. Ed è per questo che abbiamo deciso di porci la domanda delle domande: qual’è e quale dev’essere il nostro rapporto con la politica e quindi con i partiti. Non siamo più pezzi di qualcos’altro; non siamo più ingranaggi di una cinghia di trasmissione. Ci si può chiedere se è un male o un bene, ma è così. Ed è un dato acquisito. E questo fa in modo che molti di noi si sentano prima di tutto appartenenti all’Arci, prima di altro. Non ci ha mai terrorizzato l’essere definiti “soggetto che fa politica” e questo ha prodotto una consapevolezza del nostro ruolo sempre più marcata. Siamo così – e lo rivendichiamo – da tempo, molto tempo. Anche a livello nazionale è in corso questa discussione, seppur più sfumata. La premessa dovrebbe essere quella di non insabbiare questa discussione come in passato ma affrontarla a viso aperto, sapendo che sul ruolo dell’Arci, è probabile, la pensiamo in modi diversi.

Penso a tutte le volte che ho sentito dire che siamo “una grande associazione autonoma”. Talvolta è apparso più un mantra che una convinzione, utile ad assorbire qualunque accenno di discussione o di confronto, interno o esterno. Io personalmente comincio a domandarmi da cosa siamo autonomi e perché siamo autonomi e, perchè lo rivendichiamo in continuazione. E in che cosa si concretizza questa autonomia. E ancora, come viene percepita all’esterno questa “ansia da autonomia”, talvolta sbandierata solo per difenderci da qualcosa o da qualcuno. Con le dovute differenze ogni tanto pare stiamo nella parte di coloro che sostengono “io non sono razzista ma…”. L’impressione infatti è che questa autonomia in questi anni – e in parte anche ora – sia servita ad un unico scopo: rimanere immobili solo per ricercare quell’equilibrio malsano per dinamiche quasi esclusivamente interne. Equilibrio malsano che snatura il nostro essere, spezza quella politicità di cui siamo fatti e che ci rende unici e diversi da altre organizzazioni del sociale.

La nostra stessa natura di associazione generalista determina un qualcosa di più simile ad un partito che al circolo del bridge o dei velisti, con tutto il rispetto. Qualcosa di più simile ma non un partito, sia chiaro. Mi riferisco a quel protagonismo politico che dovrebbe definire l’autonomia e, perdonerete, non l’autismo e l’insensibilità – o peggio la paura – che invece oggi si percepisce.

C’è un primo passo da fare con coraggio: assumere come strategica e prioritaria questa discussione in tutti i livelli dell’associazione. Senza questa discussione e senza questo approccio politico perdono di senso tutte le cose che facciamo nei vari settori in cui siamo impegnati.

Una seconda cosa da fare è definire delle “regole d’ingaggio”, chiare e trasparenti, con i partiti che già da tempo non sono più i soli depositari della politica, –ammesso che lo siano mai stati. Ma se vogliamo svolgere un ruolo attivo e di supporto, devono essere chiari i ruoli e le prerogative da entrambe le parti. Questa, guardate, penso sia una discussione più interna che esterna e che riguarda più il gruppo dirigente diffuso. Oggi occorre sentirsi prima di tutto dirigenti Arci. Poi, dopo, tutto il resto.

La terza cosa da fare, immediata conseguenza dei primi due passaggi, è definire il nostro profilo e quindi la nostra identità multiculturale, politicamente parlando. Solo così potremo sostanziare il nostro essere autonomi, trasformando quello che oggi appare a volte come un vuoto richiamo in qualcosa di concreto e di, sostanzialmente, utile alle nostre comunità. E anche ai partiti stessi. Questo è quello che abbiamo iniziato a fare in Liguria. Andiamo avanti, il coraggio non ci manca.