Diventa sempre più difficile fare finta di niente. Anche il voto austriaco conferma (se mai ce ne fosse stato bisogno) il progressivo arroccamento dei singoli stati membri verso politiche repressive nei confronti dei migranti in fuga e a nulla sembrano servire le giuste, occorre dirlo, parole del Presidente del Consiglio e della Presidente della Camera in proposito. Parole di buon senso che sbattono (e rimbalzano clamorosamente) contro l’ennesimo muro di filo spinato costruito proprio di fronte a casa nostra con la netta sensazione che questo debba essere il primo atto simbolico del nuovo governo ‘anti immigrati’ austriaco uscito dalle urne lo scorso weekend. Muri che non aiutano, muri che anzi aggravano l’isolamento culturale della oramai sempre più vecchia ed impaurita Europa. Un’Europa smarrita e sempre più debole. Un’Europa sempre meno progressista, sempre meno aperta al futuro, arroccata sul proprio presente. Dell’Europa che abbiamo provato a costruire pare non esserci più traccia. Buon senso e valori fondanti comuni, costruiti sulle macerie di una guerra devastante, con un cammino lungo mezzo secolo, si stanno sfaldando come neve al sole. Ha ragione il senatore Manconi quando afferma che «l’immigrazione è la vera e centrale questione politica mondiale. Quella capace di modificare concretamente interi continenti e interi territori nel giro di pochissimo tempo». Di questo occorre seriamente discutere, e al più presto. Cominciando a fare i conti con i dati demografici di questa sempre più vecchia Europa, vecchia e conservatrice, quando non reazionaria. In forte contrasto con quanto è emerso nella campagna elettorale per le primarie presidenziali negli Usa, che è stata in grado di sdoganare un nuovo, credibile socialismo attraverso la formidabile campagna elettorale di Sanders e, mi sia concesso, grazie ad un decennio di amministrazione Obama. Intanto in Europa si torna a quel clima cupo, razzista ed intollerante che ci riporta al ‘900 e alle sue tragedie. Un clima costruito sulla paura e su ricette economico-sociali clamorosamente sbagliate, un clima sviluppatosi nel nostro Paese prima che in altri, nelle forme che abbiamo conosciuto in questi ultimi vent’anni grazie ai partiti dell’odio e che ha superato i confini e invaso il continente. Con questa Europa tocca oggi fare i conti. Non me ne vorranno i sostenitori dell’Europa federalista, ma il rischio è che quella prospettiva – condivisibile – oggi rischi di essere costruita sulla pelle di chi fugge e fondata sull’odio contro il ‘nemico straniero’. Le immagini del Brennero sbarrato da blindati e poliziotti, i muri di cemento e filo spinato in giro per l’Europa ci esortano al massimo impegno nel costruire invece ponti, connessioni e reti in grado di mettere insieme un fronte che si collochi «dalla parte buona della vita», come ci avrebbe indicato Tom Benetollo. Questo proveremo a fare a Pozzallo, con la seconda edizione di Sabir, connettendo nuovamente le questioni legate alle migrazioni con l’utopia di una regione Mediterranea protagonista del cambiamento e portatrice di pace e prosperità. Verso questa prospettiva i paesi del sud dell’Europa, per primi, dovrebbero guardare e investire. A cominciare da Italia e Grecia. Il rischio, altrimenti, è quello di scivolare in quella zona grigia dell’indifferenza che, durante il secondo conflitto mondiale, tollerò deportazioni di massa, violenze, guerra e distruzione. Che è quanto, sia pure in forme diverse ma altrettanto barbare, stiamo già vivendo. Un mondo in cui i campi di concentramento sono tanti e disseminati tra Europa, Medio Oriente e Africa e i campi di sterminio sono i mari che ci separano da altri continenti. E dunque la nuova frontiera per noi dell’Arci, in questo secolo, sta qui: accoglienza, solidarietà, giustizia, democrazia sono valori imprenscindibili per il mondo che vogliamo ri-costruire. Valori peraltro inseparabili dalla lotta di Liberazione, dalla Resistenza e dalla Costituzione su cui abbiamo costruito la nostra militanza.