Alla Camera dei Deputati, Paolo Beni ha ricordato Tom Benetollo nel nono anniversario dalla sua scomparsa. Questo il testo dell’intervento letto in aula.
Signor Presidente, Onorevoli colleghi e colleghe,
vi chiedo pochi minuti di attenzione per ricordare in quest’aula una persona molto cara a tanti di noi, di cui in questi giorni ricorrono nove anni dalla prematura scomparsa: Tom Benetollo.
Per raccontare, a chi non ha avuto la fortuna di conoscerlo, i trenta anni del suo percorso umano e politico dovremmo parlare del Tom militante e dirigente politico, ma anche di uno dei più autorevoli esponenti dell’associazionismo e presidente dell’Arci, di una delle figure più importanti del pacifismo italiano.
C’è un mondo intero che lo ha conosciuto e amato nel suo peregrinare incessante da un capo all’altro del pianeta, in prima fila dovunque c’era da schierarsi contro le guerre, l’oppressione e la miseria, per la libertà e i diritti umani.
Tom era pacifista e nonviolento, ma nella sua intransigenza pacifista non c’era niente di ideologico. C’era la visione della dimensione globale dei problemi, la convinzione che la pace è anzitutto una necessità politica e che non c’è pace possibile se vengono calpestati i diritti umani; che non c’è democrazia né libertà senza giustizia sociale; che i diritti e le libertà non possono mai essere piegati alla ragione di stato.
A Gerusalemme, sotto le bombe a Sarajevo, a Berlino mentre il muro cadeva. Tom lo trovavi dovunque esplodevano le contraddizioni del suo tempo, per capire, cercare risposte, intrecciare relazioni. Animato da una enorme fiducia nella capacità degli esseri umani di prendere in mano il proprio destino e costruire un mondo migliore.
Si esponeva e rischiava sempre in prima persona, ma lontano dai riflettori, per via di un suo pudore che ne faceva un politico schivo e per niente narcisista, quanto di più lontano da quella politica spettacolo tutta esibizione di forza e di potere.
E’ stato una delle figure più originali della sinistra italiana: intelligente e colto, aveva capacità di pensiero, sapeva volare alto ma anche tenere i piedi per terra, guardare lontano e misurarsi con le possibilità concrete del presente.
A dispetto di una mole fisica imponente, col suo atteggiamento mite e riservato riusciva a far sentire la sua presenza senza essere ingombrante. Tom era uno di quelle persone che fanno le cose senza aspettarsi niente in cambio, semplicemente perché ci credono, per sentirsi dalla parte buona della vita.
Per lui la politica era paziente costruzione di relazioni e ponti fra le culture, capacità di leggere le contraddizioni, affrontare i problemi e cercare le risposte. Esercizio corale, pratica diffusa, processo collettivo. E ci metteva in guardia: se la politica diventa prerogativa di pochi e non è più strumento dell’impegno di tanti, allora perde la sua capacità di servire al cambiamento.
Oggi troppo spesso la politica viene percepita come distante, incapace di suscitare fiducia, dare risposte al disagio del Paese, ritrovare la connessione sentimentale coi cittadini.
Una politica malata di politicismo – diceva spesso Tom – diventa irriformabile. Bisogna cambiarla dal basso, partendo dai luoghi di vita delle persone dove avanza la crisi sociale e culturale, ma dove ci sono anche le energie positive per reagire. Con la cittadinanza attiva che riprende parola nel discorso pubblico.
L’Italia è ricca di uomini e donne che si mettono in gioco nelle proprie comunità per animare buone pratiche di cittadinanza attiva, solidarietà, inclusione sociale. Che si prendono cura dei beni comuni, dei diritti sociali e civili, che provano a contrastare la solitudine, l’ignoranza, l’illegalità.
Sono le persone il motore del cambiamento. E anche i grandi eventi che cambiano la storia nascono dalle piccole azioni che giorno dopo giorno aiutano i popoli a farsi protagonisti del proprio destino.
Non arrendersi al presente è il modo migliore per costruire il futuro, amava ripetere Tom. Ricordarlo per noi vuol dire continuare a seguire la bussola di quell’idea.