Si potrebbe pensare che a dodici anni da quella straordinaria mobilitazione che si ritrovò nel Genoa Social Forum, dall’uccisione di Carlo Giuliani, e dai drammatici fatti che ne seguirono, non ci sia nulla di nuovo da scrivere. In realtà non è così, essendo ancora ben lontani da verità e giustizia. Di fronte all’arroganza dell’archiviazione del procedimento penale, Haidi, Elena e Giuliano Giuliani – a cui rinnoviamo per l’ennesima volta, la nostra vicinanza e il nostro grande affetto – nei giorni scorsi hanno imboccato la strada del procedimento civile: l’obiettivo è quello di sempre, ottenere che avvenga un esame serio dei fatti, al di là delle fantasiose ricostruzioni con cui è stata a suo tempo decisa l’archiviazione. Non è cosa da poco, anche perché in qualche modo ‘l’intoccabile’ Arma dei Carabinieri sarà finalmente oggetto di indagine.
È infatti dal ‘defender’ dei carabinieri – quello che poi è passato due volte sul corpo del giovane – che è partito il colpo che ha ucciso Carlo.
Ed è stata una illegittima carica a freddo dei carabinieri sul corteo, ancora ben lontano dal limite concordato con la questura, a far scattare la legittima reazione dei manifestanti, circostanza questa ribadita anche dalla sentenza del procedimento sugli scontri. Non è questa la sede per approfondire il tema delle cause dell’intoccabilità della ‘benemerita’, ma certo lo è per denunciarne l’intollerabilità in uno stato di diritto.
Altra notizia, questa volta passata pressoché sotto silenzio, é la richiesta di archiviazione per 222 denunce presentate da altrettante vittime della violenza poliziesca (in cui con poliziesca, lo ricordiamo, si intende di celerini, carabinieri e finanzieri).
A chiederle sono tre dei quattro pm che hanno seguito le grandi inchieste (Diaz, processo ai manifestanti e Bolzaneto) dovendo fare anche in larga parte il lavoro della questura, come ha spiegato il pm Zucca: «Persino la sentenza assolutoria di primo grado ne ha spiegato il perché, stigmatizzando l’atteggiamento omertoso della polizia durante l’inchiesta e il processo, che ha ostacolato l’accertamento della verità».
Questa è solo parte delle cose che si potrebbero dire. Ma forse bastano per invitare tutti ad essere, ancora una volta, in piazza Alimonda sabato 20 luglio e, più in generale, per stimolare una riflessione sullo stato della legalità nel nostro paese.