Affido volentieri ad Alberto Calandriello, dell’associazione “Alziamo la Voce” di Albenga, l’incombenza di un editoriale per ricordarci la drammatica vicenda dei due ragazzi detenuti in India con l’accusa di aver ucciso il loro amico. Una detenzione, che nulla ha a che vedere con quella dorata dei due marò, che si protrae da anni…. (w.m.)
Un brutto film, una sceneggiatura contraddittoria, scadente, lacunosa. Al massimo, la storia di Tomaso Bruno, Elisabetta Boncompagni e Francesco Montis sarebbe dovuta essere, nella mente contorta di un regista scarso, un film di questo tipo. Invece, purtroppo, è una storia vera, è accaduta più di 4 anni fa e, soprattutto, non è ancora finita.
É iniziata con la tragica scomparsa di Francesco, nella camera di albergo che divideva con la compagna Elisabetta e l’amico Tomaso, durante un viaggio in India.
Una morte che con una fretta quantomeno sospetta è stata classificata come omicidio, reato di cui sono stati accusati i due ragazzi che erano con Francesco in camera, quella maledetta notte del 4 febbraio 2010. Arrestati nel momento in cui stavano cercando di riordinare le idee, dopo aver visto morire l’amico, dopo aver chiamato una ambulanza ed aver visto arrivare un TAXI ed essere stati costretti a trasportare Francesco agonizzante a spalle fuori dall’albergo.
Arrestati sulla base di prove solamente presunte e su deduzioni affrettate, come il fatto che dormire in tre in una camera equivalesse ad un triangolo amoroso-erotico dal quale è nato il litigio che ha portato all’omicidio.
Tra un’autopsia fatta da medici non specializzati e la cremazione urgente del cadavere per motivi igienici, il verdetto sembra essere già stato emesso.
Tom ed Eli hanno eliminato Francesco per motivi di gelosia.
Un processo serio, stando alle carte giudiziali in mano a diversi avvocati, probabilmente, sempre ammesso che iniziasse senza fermarsi alla parte iniziale, si sarebbe rapidamente concluso con l’assoluzione dei due ragazzi, dopo aver smontato con semplicità il castello accusatorio, basato, come detto, su una visione dei fatti pesantemente influenzata dal pregiudizio verso chi dorme in 3 in una camera mista.
Invece, in questa specie di b-movie, da lì inizia un calvario che riguarda non solo i due ragazzi e le loro famiglie, ma la credibilità di una diplomazia ed alla fine, forse, di una intera nazione.
Perchè il punto non è valutare le prove, gli indizi e l’intero impianto processuale, ma capire che per arrivare a due gradi di giudizio, Tom ed Eli sono passati in mezzo ad una serie davvero infinita di rinvii, lungaggini, stratagemmi per rimandare le udienze che fanno pensare ad una tortura psicologica ben prima che ad una corte intimamente convinta della colpevolezza degli accusati.
Ad acuire lo strazio di questa vicenda paradossale, è l’attesa degli amici a casa.
Ad Albenga, città natale di Tom, l’associazione “Alziamo la voce” rimbalza da anni contro il muro di gomma dell’indifferenza mediatica, aprendosi brevi e piccoli varchi lottando con le unghie attraverso tam tam, social network, siti di informazione se non indipendenti almeno coscienziosi; presenziando ad eventi con volantinaggi, rovinandosi le corde vocali a forza di raccontare questa assurda vicenda.
Ed oggi, mentre qualunque regista avrebbe già da tempo capito che il copione andava cambiato, dopo un anno intero di attesa per il ricorso alla Corte Suprema, anche i presunti avvocati difensori sembrano boicottare i propri clienti, non presentandosi alle udienze.
In tutto questo, Tomaso Bruno ha compiuto 30 anni in carcere, ha scritto quintali di lettere, ha riscoperto amici che pur a migliaia di km sente molto vicini e soprattutto sta compiendo un cammino di crescita personale che per quanto forzata, lo sta facendo diventare uomo.
Per raccontare questo aspetto della vicenda, il regista Adriano Sforzi ha deciso, insieme alla Casa Produttrice Articolture, di essere in India, a Varanasi, in quelle che speriamo possano essere le ultime ore di prigionia dei due ragazzi italiani.
Sul mio blog per tutti gli articoli che in qualche modo riguardano Tom ed Eli, comprese le lettere che ha scritto Tom a sua madre e che ho avuto il permesso di pubblicare.
Alberto Calandriello