Seppur sottotono si avvicina la data delle elezioni in sette regioni italiane. Saranno elezioni importanti poiché indicheranno quanto l’azione di governo sia condivisa dagli italiani. I chiari di luna non sono certo favorevoli, basta pensare al flop democratico delle ultime elezioni regionali emiliane. Vi sono ovviamente specificità territoriali, ma è importante segnalare alcuni tratti comuni che fanno di queste elezioni un momento di verifica per il Governo Renzi.
Parto da un dato oggettivo: Matteo Renzi ha il grande merito di aver condotto il PD laddove nessuno aveva avuto il coraggio di arrivare (pur avendone costruito i presupposti). Con un po’ di artifizi retorici e altrettanti mascheramenti capaci di non destabilizzare troppo (come l’adesione al PSE o il ritorno alle feste dell’Unita) il PD renziano approda alla sua vera natura di macchina elettorale neo moderata. Un fatto positivo, perché sono sempre stato convinto che solo il definitivo approdo valoriale e politico del PD avrebbe permesso la ricostruzione di una sinistra italiana, laica, internazionalista e progressista. Il PD ha pienamente senso di esistere in questa società e i tentativi di modificarlo dall’interno appaiono deboli. Il PD renziano vuole coprire uno spazio politico centrista e moderato, superando così quella che diversi analisti politici hanno considerato la vera anomalia politica italiana è ciò l’assenza di un partito di centro capace di annullare il peso della destra e della sinistra. Un tentativo fatto prima da Forza Italia e saltato a causa di un leader troppo discutibile sul piano etico e poi da Mario Monti, che però non aveva un partito alle spalle. L’elezione di Mattarella alla Presidenza della Repubblica, il ritorno sulla scena di alcuni dei vecchi esponenti della balena bianca e la forzatura sull’Italicum ne sono solo la conferma. È un tentativo di analisi non astiosa che mi porta a considerare questo momento politico (elezioni regionali comprese) come un punto di partenza per chi si sente distante da questa mutazione o non ci ha mai creduto. Un punto di partenza per ritrovare una precisa identità politica collettiva della Sinistra, a cui come Arci ci siamo sempre rifatti. E qui sta il punto importante per noi. Come considerare questa mutazione e come leggerla in chiave di posizionamento culturale, non certo elettorale. Questo ‘percorso accelerato’ del premier Renzi (al netto delle beghe locali) ci consegna infatti prima di tutto la fine del centrosinistra come si è configurato in questi anni e che ha garantito all’Arci, una certa tranquillità sul piano della vicinanza culturale alla politica. Credo poi che anche la presunta continuità tra PD e progetto dell’Ulivo sia definitivamente tramontata. A maggior ragione con la vicenda Italicum. Dove approda quindi il Paese con questa svolta che, ripeto, considero positiva? Nello schema più consono (in barba ai teorici del bipartitismo) e che negli anni ha garantito, effettivamente, la governabilità: una destra e una sinistra potenzialmente marginali e un centro omnicomprensivo. Supportati da un sistema proporzionale con l’unica vera novità (stonata) di un premio di maggioranza talmente alto da garantire al partito dell’attuale premier lunga vita. L’Italicum è quindi parte integrante di questo disegno; l’unico per il quale, tra l’altro, è valsa la pena spaccare un partito in nome di una progressiva rottamazione, ma che in realtà è solo la riproposizione del conflitto tra Caino e Abele. I due fratelli (ex dc ed ex pci), che tanto hanno costruito in nome dell’Ulivo e del PD, che risolvono il loro perenne conflitto con il più classico dei fratricidi. E con una lucidità del premier degna del miglior serial killer. Forse non è mai stato uno scontro solo generazionale. C’era – e oggi si osserva meglio – molto ma molto di più. L’Italicum è dunque questa roba qui: la governabilità del Paese al servizio di un progetto politico.
Le elezioni regionali avranno questo scenario di fondo, con tutto quello che ne consegue sul piano della qualità. Così sta avvenendo in Liguria e Toscana e anche in altre regioni. Le prossime elezioni regionali rappresentano dunque un laboratorio politico nazionale. Si potrebbe legittimamente obiettare che si è chiamati a scegliere il Presidente della Regione, non il Presidente del Consiglio. Vero. Ma è altrettanto vero che la leadership del premier, sul piano politico e soprattutto legislativo/amministrativo, ha avvitato i diversi livelli istituzionali, connettendoli a doppio filo. Le presenze dei Ministri e dello stesso Premier in giro per i territori confermano questa impressione.
Ciò che si considera Sinistra è di fronte a questa sfida: esserci e non soccombere. Esserci e non adeguarsi. Esserci e riorganizzarsi. Esserci per sfidare questo progetto con un altro, credibile e alternativo. Occorre evidentemente tempo e non fretta; questi 25 anni di ubriacatura mediatica, populista e consumista hanno contribuito alla confusione; oggi è lo stesso Renzi a beneficiarne con abilità. È l’uomo del fare, social per eccellenza, abile comunicatore che passa le giornate a raccontare che cosa farà e/o le mirabolanti prodezze compiute; una sfilza, una al giorno, soprattutto per dare un’impressione di grande quantità. La qualità appare marginale, come la coerenza a valori e ideali che necessariamente sono ‘il passato’; quindi tanta quantità equivale a essere di sinistra, perché si fa. È un messaggio chiaro che, paradossalmente, mette d’accordo anche chi di sinistra magari non lo è mai stato. Il mio ricordo corre inevitabilmente al ‘contratto con gli italiani’. La prosopopea dell’uomo che si è fatto da solo, che arriva e fa in modo semplice e diretto. Senza intralci di sorta tra lui e il popolo. Renzi ha rivisto e corretto, 20 anni dopo, quel format. Che indubbiamente piace e colpisce per il troppo immobilismo di questi ultimi anni.
L’Arci, che in questi mesi spesso ha espresso una sua netta contrarietà a questo modello, badando sempre al merito delle questioni, come si pone? La qualità delle cose che vogliamo fare ha ancora un senso? E anche il metodo conta, tanto che – si dice – il metodo è sostanza in politica? Di fallimenti, a sinistra, ne abbiamo alle spalle decine ma non per questo intendo unirmi al coro degli entusiasti del ‘fare pur di fare’, benché, anche e soprattutto da militante Arci, voglia sforzarmi di mantenere l’equilibrio e giudicare il merito delle cose. Perchè se c’è una cosa che mi convince è che dell’Arci c’è bisogno, ora più che mai, se vogliamo davvero essere concretamente ‘casa della sinistra’.