Tom Benetollo, il mio ricordo
Tom e’ stato un uomo politico atipico. Ha interpretato nella sua vita, nel suo stile, nelle sue scelte una concezione della politica molto distante da quella prevalente, anche a sinistra, negli ultimi anni. E’ difficile immaginare un uomo piu’ lontano dalla politica-spettacolo, e dall’abitudine consolidata di larga parte della leadership politica a usare indifferentemente un argomento e il suo contrario a seconda delle convenienze. E, essendo questo il vero cuore dell’idea berlingueriana della politica, Tom era autenticamente un berlingueriano.
Diciamo la verità: Tom stava assai meglio fra Sarajevo e Gerusalemme, con i pacifisti americani e nella casa del popolo toscana che non alle riunioni interne di partito. In queste riunioni, quando prendeva la parola, era sempre per dire qualcosa di forte. Si faceva ascoltare. Usava un linguaggio diverso dal “politichese” ma certamente non intriso di luoghi comuni movimentisti. Il linguaggio di Tom –come la sua calligrafia- appartenevano al tempo stesso un po’ al giornalismo, un po’ alla poesia, un po’ alla filosofia e molto ad una pregnante, quasi ossessiva cultura della realtà.
Ma il suo habitat era la strada. Con una sacca, uno zainetto o una borsa, Tom era un uomo della strada. Amava andare a piedi. Egli stesso ricorda –nella bella intervista postuma pubblicata da Aprile e dall’Arci- la “Costituente della Strada”, voluta con lui da Peppe Lumia e da altri esponenti di movimenti cattolici e laici e che trovò (siamo all’inizio degli anni 90, quando esplode la domanda di riforma della politica) in qualche isolato esponente del PCI-.PDS (ricordo fra gli altri, con me, Giovanni Lolli, Giulia Rodano, Giampiero Rasimelli, Franco Passuello) un punto di riferimento. In quella idea si anticipa un cammino che negli anni successivi ha visto Don Ciotti fondare e guidare Libera, l’associazione contro le mafie; il movimento antirazzista; la nascita del Forum del Terzo Settore e della Banca Etica e, più recentemente, il movimento no-global, i Forum Sociali, la nuova stagione pacifista.
Nel suo stare sulla strada non c’era il rifiuto della politica e del potere. Sarebbe un grave torto alla sua memoria iscrivere Tom in quella categoria di estremisti acchiappa-farfalle. Tom è sempre stato un anti-estremista. Ho già ricordato, nell’intervento per il libro curato da L’Unità, Il Manifesto, Carta e Liberazione, gli anni padovani. Sono convinto che fu proprio quella “militarizzazione” della politica (lo squadrismo fascista, le “notti dei fuochi” di autonomia, l’esproprio del diritto a manifestare pacificamente e a partecipare) a far maturare in lui una visione nonviolenta: il rifiuto della guerra in quanto tale, e il rifiuto di una visione militare e bellica della politica.
Tom, spirito libertario e anarchico come pochi, amava l’organizzazione, si poneva razionalmente il problema della democrazia e del governo. Ha amato il partito a cui è stato iscritto sempre (prima il PCI e la FGCI, e poi il PDS e, recentemente, non senza crescente fatica, i DS): e la sua critica al partito e alla politica ha riguardato l’autoreferenzialità, l’incapacità ad aprirsi e a contaminarsi, la scarsa “cultura della strada”.
La strada che Tom percorreva non era la “buona strada” –o la retta via, che dir si voglia-. Non vi era traccia di populismo, di buonismo né di pelosa compassione. Tom –per molti versi missionario laico e civile, come lo sono Ciotti, Zanotelli, Strada- percorreva “la cattiva strada”, quella di cui canta magistralmente Fabrizio De André. E se è l’amore, nella poetica del cantautore genovese, a rimettere in circolo la vita, questo amore, in una visione politica, è amore per gli altri. Amore per i neri americani sfruttati. Amore per il tormentato uomo dell’est –di est Tom parla in un suo straordinario articolo pubblicato nel libro di Aprile e dell’Arci-. Amore per tutte le vittime dei soprusi. Tom portò l’Arci nelle lotte contro la cancellazione dell’articolo 18, e persino nel referendum promosso dalla Fiom.
La strada era la strada del mondo. Tom è stato globale e universale, ben prima che si parlasse di globalizzazione. Quando, nel 1987, lascia il lavoro di funzionario e dirigente della sezione Esteri del PCI, e va all’Arci, Tom costruisce prima del tempo una nuova identità plurale. E quando, dieci anni dopo, le “strade” della sinistra si sono divise, talvolta in modo irreparabile, l’Arci che ha cambiato lui e lui che ha cambiato l’Arci sono già un luogo comune, una strada in cui viandanti –“lampadieri”, come ha scritto a un suo compagno-, pellegrini, ciclisti (perché no, anche triciclisti), marciatori della pace e manifestanti di Melfi, tribù avversarie della sinistra camminano, talvolta senza volerlo o neppure saperlo, insieme.
La strada di Tom è una strada di tutti. Per questo oggi La Rinascita, ieri altre testate e associazioni della sinistra sentono il bisogno di ricordare Tom come un loro compagno e amico. Sì: era così, davvero. Militante del suo partito, Tom era militante di tutta la sinistra e dei movimenti.
Tom non è più su quella strada. C’è il piccolo Gabriele, che dà la mano a Eva. Ci sono compagni e compagne dell’Arci, che con le bandiere disegnate da lui continuano a marciare. E c’è chi lo ha amato e continua a non capire questo strappo e questo improvviso vuoto.
Su quella strada ci siamo anche tutti noi. Uomini e donne delle tribù della sinistra: partiti, correnti e aree, sindacato e categorie, eletti locali, volontari e militanti. Continuiamo a pensare di avere ragione noi, e torto il viandante accanto. Non ci rendiamo conto che stiamo già camminando insieme. Dobbiamo solo scoprirlo, dirlo, magari con una canzone o con una poesia (“scegliamo un giorno, volantiniamo poesie per le strade e nei luoghi di aggregazione”, propose all’ultimo Congresso dell’Arci).
Sì, dobbiamo proporci di “spiazzare il conformismo”. Non si tratta tanto di unire le forze, le sigle, le persone. Ma di scoprire che abbiamo valori e idee condivise, che abbiamo il cuore a sinistra, e che questa grande comunità della strada –senza che nessuno rinneghi la propria tribù, le proprie insegne, i propri colori- può portare nella democrazia, nei partiti, nel Palazzo l’aria della strada. Sì, l’aria della strada, specie quando qui –nel Mediterraneo- è estate: la brezza e la calura immobile, gli odori della natura e quelli delle persone, la polvere che si leva l’estate, il canto delle cicale, il profumo di finocchietto e di resina.
Tom, che stava pensando a un impegno politico diretto nella costruzione di una voce politica della strada, ci lascia questo compito: portare al governo l’aria della strada.
Proveremo a vincere, e a costruire –ricordando Tom – il Governo della strada.
Pietro Folena