Il sollievo che abbiamo provato in molti alla notizia del cambio al Ministero dell’Interno non ha sopito, almeno per ora, le grandi preoccupazioni legate al persistente utilizzo del tema immigrazione come la più efficace arma di distrazione di massa. Anche l’ultimo vertice europeo di Malta – che ha visto la prima uscita della neo Ministro Lamorgese – si è svolto in nome di una “pressione migratoria straordinaria” quando, ad inizio ottobre 2019 i migranti sbarcati nel nostro arrivavano a malapena a 7000 persone. Solo per fare un paragone in Grecia, nello stesso periodo, gli sbarchi hanno superato di diverse centinaia le 37mila unità. A nessuno sfugge l’importanza di un approccio europeo e la necessità di rivedere il Trattato di Dublino che obbliga i Paesi europei di sbarco (oggi Spagna e Grecia principalmente, poi l’Italia) a farsi carico dell’accoglienza, delle procedure d’asilo e, in quei rari casi, delle procedure di rimpatrio ma, se qualcuno voleva un deciso cambio di passo nella narrazione dei flussi, è rimasto fino ad oggi deluso. E qui, inevitabilmente, la politica potrebbe e dovrebbe fare di più se davvero vuole emanciparsi dalla vulgata sovranista e razzista che in questi mesi ha prodotto paura e violenza.
Da dove partire dunque?
Nel nostro Paese, dal 2002 in poi con l’entrata in vigore della Legge 189 (conosciuta come Bossi Fini) entrare regolarmente nel nostro Paese è diventato via via sempre più difficile a causa del legame indissolubile tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro; dalla fine del 2010 è sostanzialmente impossibile a causa della non emanazione del decreto flussi annuale. In Italia dunque, per volontà di due governi di centrodestra (e senza nessun intervento legislativo dei governi di centro sinistra) arrivare in Italia regolarmente, con una nave o un aereo, non è più possibile con buona pace di tutti. L’unico modo per provare a regolarizzarsi è, appunto, provare a passare per le procedure d’asilo, sancite e tutelate dall’Articolo 10 della nostra Costituzione e che, i due decreti sicurezza gialloverdi hanno provato a mettere seriamente in discussione. A riprova di quanto detto basti pensare che dei circa 7000 migranti arrivati in Italia in tutto il 2019 fino ad oggi, la prima nazionalità sbarcata sulle nostre coste è quella tunisina. Qualcuno si domanderà come sia possibile dato che nel porto della città di Genova, una nave fa avanti e indietro almeno due volte alla settimana proprio dalla Tunisia; una domanda lecita che nell’impossibilità di un ingresso regolare per legge trova la risposta. In barba “alla lotta alla clandestinità” e “alla lotta ai trafficanti” che in realtà, come si è potuto ben vedere con l’inchiesta di Nello Scavo sull’Avvenire, fanno comodo al nostro Governo. E allora, le grandi speranze per un cambio di rotta prima di tutto nel rispetto della nostra Costituzione e dei più importanti trattati internazionali, stanno tutte qui. Rivedere i due decreti sicurezza sono la prima cosa da fare per rendere credibile l’azione di questo “nuovo” esecutivo. Un primo impegno per intervenire nella gestione dei flussi dei richiedenti asilo e per fare in modo che il sistema di accoglienza torni ad essere anche un investimento dello Stato verso le persone che accogliamo e verso le comunità territoriali che accolgono.
Tutto ciò non è slegato da un nuovo modo di pensare la politica estera europea e quindi nazionale. Non è possibile infatti continuare a tenere in piedi accordi bilaterali con “non governi” come la Libia o con governi illiberali come la Turchia. Un governo, quest’ultimo, armato con i nostri soldi europei per tenere “lontani dagli occhi” i migranti della rotta balcanica, usati per sterminare il popolo curdo. E non basta più parlare di “corridoi umanitari” da implementare. Certamente tutte le strade che in questo momento possono alleviare la sofferenza di anche una sola persona sono da perseguire; certamente vanno intraprese in modo urgente tutte le azioni necessarie per evacuare le oltre 5mila donne, uomini e bambini ancora rinchiusi nei lager libici ma, questa misura non può e non deve essere la linea d’azione su cui fondare l’operato del Governo. Dobbiamo al più presto mettere in campo una nuova normativa nazionale imperniata sulla possibilità di entrare regolarmente nel nostro Paese secondo requisiti dati. Costruire canali d’ingresso regolare per, seriamente, togliere dallo sfruttamento migliaia di persone e per, allo stesso tempo diminuire sensibilmente il numero degli sbarchi via mare o degli arrivi via terra. Già perchè tra le due cose c’è un nesso evidente: la richiesta d’asilo è oggi, alle condizioni “stringenti” volute da governi di centro destra e mai modificate da quelli di centro sinistra, è l’unico modo per regolarizzarsi, come dicevamo. E si può fare tutta la propaganda del caso sui flussi e sui migranti ma il punto è e rimane questo. Può apparire contraddittorio ma è così, normative e numeri alla mano. La separazione dei flussi – misura peraltro attuata dalla maggior parte dei paesi europei – dunque è uno dei capisaldi su cui agire, ristabilendo le giuste misure di protezione dei richiedenti asilo – come richiamate dal Presidente della Repubblica – e favorendo la “regolarità” di chi vuole entrare nel nostro Paese in cerca di un futuro migliore. Su questa base occorre, dunque, ricostruire una credibilità della politica per giungere anche all’attivazione di una serie di misure altrettanto importanti; a questo proposito la campagna nazionale #IoAccolgo – che vede impegnate ben 48 organizzazioni sociali a livello nazionale – ha lanciato nelle settimane scorse un appello al nuovo governo e al Parlamento per cancellare i decreti sicurezza e gli accordi con la Libia, macchia indelebile che non solo ha sporcato la coscienza di chi gli ha sottoscritti ma, ha foraggiato e armato coloro che, per legge, diciamo di combattere: i trafficanti di essere umani. Dobbiamo agire subito.
Mobilitiamoci. firma-lappello
Walter Massa
responsabile accoglienza richiedenti asilo e rifugiati Arci nazionale