Ho pensato a lungo a ciò che nei giorni scorsi è accaduto a Certosa nel genovese. La morte del pensionato savonese investito sulla fermata dell’autobus da un ragazzo ubriaco e, probabilmente, sotto l’effetto di stupefacenti, ha accesso i riflettori sul tema periferie. Una fermata che ho frequentato per tantissimi anni della mia vita tornando da scuola o uscendo per svago. Non sono mancate le solite prese di posizioni, gli sciacallaggi dei due o tre politici locali che pare non vedano l’ora che qualcuno crepi per fare una odiosa e continua campagna elettorale per i loro tornaconti. E’ così da almeno vent’anni senza che, in un senso o nell’altro, sia mai realmente cambiato qualcosa. Tutt’al più è peggiorato indiscutibilmente per tutti. Nessuno escluso. Ma non è sull’immigrazione che voglio soffermarmi ma sulla reazione dei cittadini di Certosa, della maggior parte di loro che conosco da tempo. E su ciò che questa vicenda, in fondo, mette in risalto: un pericoloso abbandono delle periferie in continuo peggioramento per qualità di vita e servizi. So che su questa affermazione si potrebbero mettere d’accordo gli estremi opposti ma non credo che tutto ciò sia esclusiva colpa di chi amministra la città o, come in questo caso il Municipio. Certo qui ci sono delle colpe ben precise che arrivano da lontano legate soprattutto ad una idea di città. Ricordo il periodo dal 1997 al 2007 in cui ho fatto la mia esperienza da amministratore proprio nel Municipio Valpolcevera (circa 70 mila abitanti, più di Savona città, tanto per intenderci): un’ esperienza molto formativa e utile centrata grazie alle intelligenti intuizioni di un bravo Sindaco e di ottimi assessori su una idea di città decentrata. E’ in quel periodo, infatti, che nascono i Municipi, si organizzano e pian piano acquisiscono poteri e responsabilità. Si passa dal volontariato delle vecchie circoscrizioni, all’organizzazione dei Municipi, un pezzo importante della gestione pubblica. Un percorso che alla fine del mio mandato nel 2007 avrebbe dovuto far transitare la gestione e la responsabilità dei servizi sociali dal Comune ai Municipi.
Poi il nulla. Quel percorso si ferma, viene meno l’idea di città decentrata e soprattutto scompare l’investimento politico dell’intera città verso quel percorso. Anzi succede l’esatto contrario; si entra nell’era del taglio della rappresentanza, della macchina pubblica, della cultura diffusa che “bisogna tagliere i costi della politica”, includendo in questa visione tutto ciò che è la macchina.
Oggi in quella che una volta era la Provincia di Genova (come nelle altre) nessuno è in grado di spazzare la neve o aggiustare le strade. E su quelle strade si continua a transitare. E’ quella stessa cultura che ci ha portato a vivere le delegazioni come i posti dove andare a dormire la sera, vivendo il resto della giornata in centro o comunque altrove; è quella stessa cultura che non ci fa accorgere dei bisogni del nostro dirimpettaio di pianerottolo, tanto è la fretta di chiudersi in casa. E’ diventato un modo di vivere ed è per questo che mi domando cosa stiamo facendo noi cittadini per questi luoghi dove abitiamo? Perché il nostro apporto, da cittadini, è fondamentale se non unico per ricostruire un tessuto di comunità laddove si è perso.
E‘ davvero un problema di sicurezza e d’immigrazione tutto ciò? E’ colpa di chi arriva se intere vie non sono illuminate, nessuno gira di sera, non ci sono posti dove ritrovarsi eccezion fatta per i nostri circoli e le parrocchie? E’ colpa degli immigrati se ci si ritrova solo al supermercato o al centro commerciale a prescindere dal fatto che si debba comprare qualcosa? E’ colpa degli immigrati se tra il 2007 e il 2013 il fondo per le politiche sociali nazionale è progressivamente passato da quasi 2 miliardi di euro a poco più di 250 milioni? Soldi in meno per asili nido, servizi, trasporto pubblico, enti locali, servizi scolastici, educativi, sociali e di assistenza e così via. E, per contro tra il 2015 e il 2017 questo attuale Governo (in continuità con tutti gli altri) ha deciso d’investire 15 miliardi di euro (4 miliardi e mezzo dei quali per “materiale bellico”, una cifra quest’ultima che da sola basterebbe a chiudere i deficit dell’INPS) in spese militari? .
Sono domande a cui ognuno di noi darà le risposte che crede ma non posso non domandarmi se quei trecento manifestanti dell’altra sera e l’intera città ha davvero voglia di migliorare i luoghi dove si vive e si cresce, rimboccandosi le maniche e rifiutando una volta per tutte le discussioni inutili, la propaganda che ci racconta quello che vogliamo farci raccontare e soprattutto la distorsione della realtà. E’ l’ora delle scelte. Per quanto mi riguarda nessun candidato ad amministrare la mia città sarà credibile se non metterà al centro questo tema. Con coraggio, senza fomentare ulteriore odio inutile e soprattutto con proposte serie, credibili e costruite in modo partecipato. Gli spazi ci sono. Serve volontà.