Ho partecipato ieri al VI congresso regionale della UIL. E’ stata l’occasione per ascoltare il punto di vista, gli obiettivi e le aspirazioni di una organizzazione che non è quella in cui milito. Certamente diversa nelle forme, nelle pratiche e negli obiettivi ma, tutto sommato, con diversi punti in comune a partire dai bisogni che, in parte, anche l’Arci sente come prioritari. Nel mio intervento di saluto mi sono soffermato su alcune questioni poste dalla relazione introduttiva del segretario generale Mario Ghini, vuoi per questioni di tempo, vuoi perché mi sono da subito parsi punti di contatto su cui riprendere quel faticoso filo di collegamento tra organizzazioni sociali come sono le nostre che negli anni si è via via allentato producendo, anche tra di noi, autoreferenzialità, miopia e senso perenne di impotenza. La prima valutazione è stata che la crisi non solo ci ha investito sul piano economico e sociale ma ci ha devastato sul piano culturale. Ciò ha prodotto anche al nostro interno – e nelle nostre relazioni con l’esterno – difficoltà e talvolta diffidenze che, sono certo, hanno contribuito a indebolire le nostre comunità. C’è dunque una riflessione da riprendere con urgenza ed è quella legata al progressivo venir meno di ciò che abbiamo sempre chiamato “corpi intermedi”; ed è una riflessione che non può essere fatta ciascuno a casa propria. Ricordavo, sempre ieri, a questo proposito, il report del 2013 della J.P. Morgan, la potente finanziaria con sede a New York, in cui testualmente, parlando dell’Europa, riportava: “Quando la crisi è iniziata era diffusa l’idea che questi limiti intrinseci avessero natura prettamente economica (…) Ma col tempo è divenuto chiaro che esistono anche limiti di natura politica. I sistemi politici dei paesi del sud, e in particolare le loro costituzioni, adottate in seguito alla caduta del fascismo, presentano una serie di caratteristiche che appaiono inadatte a favorire la maggiore integrazione dell’area europea”. Appariva chiaro già allora che, oltre alla crisi culturale del nostro pianeta, era in atto un tentativo, ragionato e probabilmente sostenuto, di indebolire e di molto le forme di tutela e di partecipazione, direttamente espressioni della libertà di associazione dei cittadini. Condizione che aveva fino ad allora contribuito a rendere l’Europa un continente ricco economicamente e saldo socialmente. Per i più scettici, bastava poi scorrere il testo per averne conferma: “I sistemi politici e costituzionali del sud (Europa) presentano le seguenti caratteristiche: esecutivi deboli nei confronti dei parlamenti; governi centrali deboli nei confronti delle regioni; tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori; tecniche di costruzione del consenso fondate sul clientelismo; e la licenza di protestare se sono proposte modifiche sgradite dello status quo”. Queste parole viste oggi appaiono inequivocabili e rendono il contesto in cui siamo immersi più chiaro ma, al tempo stesso, devono divenire l’occasione per un cambio di rotta culturale e per un ripensamento della forza e dell’azione dei corpi intermedi. E’ una questione che interroga fortemente l’Arci anche in Liguria dove sentiamo forte lo smarrimento e la solitudine del nostro essere associazione di cittadini. Lo misuriamo in tante occasioni a cominciare dal nostro essere sempre più stretti anche in un luogo in cui abbiamo sempre creduto come il Forum del Terzo Settore. Ma non solo: lo percepiamo nel rapporto con le Istituzioni , sempre più deboli e incapaci realmente di “governare” il territorio. Lo avvertiamo nel rapporto con le organizzazioni sindacali, come se lavoro e vita fossero due questioni distinte e non sovrapponibili. Lo avvertiamo anche nel nostro mondo, l’associazionismo, dove, lo ripeterò fino alla nausea, la divisione in tanti “associazionismi” – dal punto di vista legislativo – non ha fatto altro che indebolire e frammentare quella positiva e costruttiva tensione alla cittadina attiva che negli anni passati ha rappresentato una vera e propria spinta propulsiva al cambiamento e al benessere dei cittadini. Una riflessione da fare sapendo inoltre che primi ad essere interrogati siamo noi, è l’Arci, le nostre forme, la nostra democrazia, la nostra capacità inclusiva e il nostro essere luoghi della sperimentazione perenne. Lo è quindi il nostro progetto politico/associativo, con un consapevolezza che monta giorno dopo giorno: non è possibile guardare un mondo in forte cambiamento e noi rimanere immobili, sempre uguali, a guardare ciò che accade. Non ce lo possiamo permettere e non se lo possono permettere le nostre comunità territoriali. Sicuri e convinti che il cambiamento non sia un evento ma un percorso da fare insieme.
walter massa