Tutti noi, fin da piccoli, abbiamo imparato un concetto che definirei universale: non si mischiano le mele con le pere. Così ci ripeteva la maestra per insegnarci a far di conto.
Questo elementare concetto pare sconosciuto alla Giunta Regionale che affronta il tema dell’accoglienza, di chi scappa da guerre, carestie e dittature (secondo il rapporto UNHCR del 2014, nel mondo quasi 60 milioni) chiedendo un CIE, ossia un Centro di Identificazione ed Espulsione, strutture previste dalla legge italiana per trattenere gli stranieri “sottoposti a provvedimenti di espulsione e o di respingimento con accompagnamento coattivo alla frontiera” nel caso in cui il provvedimento non sia immediatamente eseguibile.
E’ doveroso, a questo proposito, ricordare come i Centri di Permanenza Temporanea e poi i CIE siano divenuti di fatto luoghi in cui è finito che veniva trovato senza documenti di soggiorno. Questo in una situazione in cui, ‘grazie’ alla famigerata legge “Bossi-Fini”, l’ingresso regolare nel nostro Paese può avvenire solo attraverso il decreto flussi che, come è noto, dovrebbe appunto regolare il flusso di migranti verso l’Italia ma in realtà é servito solo a regolarizzare chi si trovava già in Italia. E per fortuna almeno a questo è servito. Nonostante la propaganda incessante dell’attuale Governatore, l’accoglienza quindi non è e non può diventare un problema di sicurezza. Tanto più a fronte di un forte calo dei reati in questi anni ultimi 10 anni denunciati certificato dallo stesso Ministero dell’Interno. Dato che probabilmente ha fatto sì che le leggi di stabilità varate dai governi di centrodestra (2009/2010/2011) siano quelle che hanno tagliato circa 3 miliardi di fondi alle forze dell’ordine, oltre ad aver approvato un blocco delle assunzioni tra il 2009 e il 2013 che ha riguardato circa 21000 unità delle tre forze dell’ordine.
Torniamo dunque al tema dell’accoglienza e ai problemi che derivano dalla mancanza di un vero sistema d’accoglienza nazionale: oggi, infatti, esistono diversi modelli, spesso non in comunicazione tra loro. E’ dal 2011 che l’Arci denuncia questa situazione e siamo contenti che anche altri se ne siano accorti. L’accoglienza – prevista da trattati e convenzioni internazionali che anche l’Italia ha firmato e sancita dalla nostra Costituzione – deve dunque essere messa a sistema, coordinata a livello regionale e soprattutto condizionata da una diffusione sul territorio.
In questa direzione sarebbe importante, ad esempio, che la Regione Liguria sostenesse lo sforzo dell’ANCI ligure nel coinvolgere più comuni, evitando così di concentrare solo su alcuni i numeri degli accolti. Per capirci, se i 235 comuni della nostra regione accogliessero ciascuno 7 richiedenti asilo/rifugiati, si potrebbe soddisfare la richiesta di accoglienza arrivando a 1645 posti, con un saldo attivo di 379 posti. A febbraio 2015, infatti, erano 1266 i rifugiati/richiedenti asilo accolti (il 2% delle 63300 accolte nel paese): 953 nel sistema prefettizio (CAS) e 313 nel sistema SPRAR. Ovviamente è un ragionamento che vuole solo dimostrare la sostenibilità dell’accoglienza, sapendo che a fronte di quei comuni piccoli per cui 7 persone costituirebbero un serio problema ce ne sono altri, capoluoghi di provincia ma non solo, che possono accogliere molte più persone, facendo così pareggiare i conti. In conclusione, ciò che dovrebbe spaventare i cittadini è una Regione che va in crisi per questi numeri e per questa tipologia di problematica. Cosa accadrà domani su altre questioni ben più complicate?
La bella immagine è tratta da Il Manifesto Sardo del 16 luglio 2015, a corredo dell’articolo di Valentina Brinis “Accoglienza o punizione?”