E’ un 25 aprile di dolore e rabbia, non lo nascondo. Questo Settantesimo della Liberazione avevamo deciso di festeggiarlo ballando, come si fece nel 1945 a Milano e invece dobbiamo celebrarlo con ancora negli occhi le immagini di quel mare blu intenso, di quelle carrette stipate all’inverosimile di uomini, donne e bambini e, soprattutto, con le immagini di quei pochi sacchi neri sulle motovedette della Guardia Costiera.
Mi rendo conto che collegare le due cose può apparire azzardato, e forse qualcuno si infastidirà, ma non riesco a farne a meno.
I macabri numeri che ci restituisce il nostro Mediterraneo sono quelli di una guerra non dichiarata ma che si continua a combattere in una indifferenza sempre più grande. Una guerra dalla quale non solo facciamo fatica a liberarci ma, che non riusciamo neppure a contrastare. Regna sovrana l’indifferenza, quella stessa indifferenza che tanti di noi hanno vissuto di fronte al massacro di Sarajevo o quel silenzio, assordante, che abbiamo letto nei libri di storia di fronte all’abominio dei campi di sterminio. Alcuni la chiamano “la zona grigia”.
Mille morti in meno di quattro giorni. Oltre quindicimila (stimati) cadaveri in fondo al canale di Sicilia. Centinaia di migliaia in fuga dai loro paesi in conflitto “accolti” solo dai peggiori trafficanti di sempre. Questo è il continente africano oggi. Questa è la risposta dell’occidente.
E’ possibile allora festeggiare la Liberazione mentre stiamo combattendo una guerra non dichiarata con la complicità della Comunità Europea?
Qualcuno storcerà il naso e sosterrà che ci stiamo solo difendendo, ma i morti e i dispersi stanno solo da una parte.
Una guerra per contrastare “l’invasione”, tanto declamata e che tanto serve ai flussi elettorali di chi costruisce il consensi elettorale.
Mi domando da cosa e con chi siamo in guerra e mi rendo conto. Uomini, donne e bambini in fuga provenienti sempre dagli stessi paesi, in cerca di un futuro ‘normale, se non migliore. Arrivano da Somalia, Nigeria, Gambia, Libia, Bangladesh, Siria, Eritrea, solo per citare i più numerosi. Uomini, donne e bambini che scappano dalla loro terra divenuta invivibile e insicura.
Siamo in guerra, dunque, ma contro un nemico immaginario, costruito ad arte con una vera e propria distorsione della realtà dai governi europei ed alimentata dall’approccio sensazionalistico di molta stampa. Immaginario anche perché non ha armi, non offende. Semmai chiede.
La nostra opinione pubblica sembra non cogliere il rapporto di causa ed effetto che c’è tra la crisi di quei paesi e il fenomeno migratorio che da diversi anni trova, nel nostro Paese, uno dei canali d’ingresso preferenziali verso l’Europa. Una difficoltà che in questi ultimi anni ha contribuito al consolidarsi dell’ignoranza, favorita anche dalla congiuntura economico e sociale che ha indebolito progressivamente buona parte delle nostre società.
Oggi dunque noi siamo liberi grazie a quella Resistenza e a quei gloriosi Partigiani, ma siamo perdenti perché non abbiamo saputo utilizzare al meglio questa nostra libertà. Una libertà che è stata agita prima di tutto a scapito del sud del mondo di cui ci siamo dimenticati. Una libertà che oggi ci fa destinare quasi due miliardi di euro per contrastare l’immigrazione clandestina con i soldi delle nostre tasse, rendendoci corresponsabili per quei morti affogati. La stessa libertà, di cui ci vantiamo, che ci autorizza ad investire – solo nel 2013 – oltre tre miliardi di euro in armamenti per difenderci e per attaccare, con le scuse delle ‘missioni umanitarie’.
Ecco, dunque, io non mi sento bene a festeggiare questo Settantesimo. Dovrei festeggiare la Liberazione dall’oppressore e dalla guerra e, invece, per certi versi, mi sento complice di uno sterminio. Chi settanta anni fa combatté contro gli sterminatori lo fece per la democrazia e per la pace. Non sono degno di quella storia e mi vergogno di fronte a chi ha dato la propria vita per permettere a me di proseguire su quella strada. Ed è per questo che non mi darò pace fino a quando la mia voce e quella di tante e tanti, forte e decisa, non riuscirà far cessare questa insopportabile ipocrisia e questo dilagante egoismo. Solo così ritroverà senso il mio antifascismo e il mio sentirmi degno erede di quella gloriosa storia.