Consiglio Nazionale del 28 – 29 Settembre 2019: Il punto dell’ARCI sulla Riforma del Terzo Settore
In occasione dell’ultimo Consiglio Nazionale, la Presidenza Nazionale ha presentato all’Assemblea un documento politico e tecnico di aggiornamento sullo stato dell’arte della Riforma del Terzo Settore. Abbiamo pensato di presentarlo in versione integrale in modo da condividere con i dirigenti e le dirigenti dell’ARCI ligure l’attuale situazione e le criticità in essere. Criticità che, evidentemente, riguardano tutti i livelli della nostra Associazione: dal Nazionale al singolo circolo.
Nei prossimi mesi sarà di fondamentale importanza proprio l’azione del livello Nazionale per intervenire sui temi e gli aspetti che potrebbero avere impatti significativi per la stessa essenza costitutiva della nostra Associazione che svolge un’indispensabile azione in ambito sociale e culturale e che necessita degli strumenti più adeguati per continuare a farlo in modo efficae.
Già in occasione del Consiglio Nazionale Arci di maggio approvammo un Ordine del Giorno sul tema della riforma e la situazione politica di quei mesi ci faceva parlare di “Terzo Settore sotto attacco”.
Se oggi, anche con sorpresa, ci ritroviamo con un nuovo governo, privo della forza politica più aggressiva al nostro impianto valoriale, non tutto crediamo possa profilarsi “in discesa”.
Occorre pertanto avviare una stagione di interlocuzione, in autonomia (cosa che in questi giorni ha già avuto modo di realizzarsi) e per mezzo del Forum Nazionale, perché come su molti altri argomenti si possa esprimere un giudizio alla prova dei fatti circa i provvedimenti che verranno assunti anche su questa materia.
Sembrano alle spalle le distorsioni valoriali che hanno portato alla criminalizzazione delle organizzazioni civiche, mentre non del tutto fugate sono le ombre di sospetto che si vogliono proiettare sul Terzo Settore, nonché la compressione del ruolo dei corpi intermedi.
L’interlocuzione quindi deve avere come oggetto del confronto sia indirizzi che presupposti, non chiudersi solo in una lettura tecnicista dei provvedimenti legislativi, già emanati o ancora da promulgare.
All’atto dell’approvazione della legge delega e poi della prima e seconda versione del Codice del Terzo Settore, avevamo avuto modo in più sedi e occasioni di denunciare come il corpus legislativo che entrava in vigore non fosse in grado di tenere in debita considerazione la fisionomia, di chi come noi, fa dell’associazionismo partecipativo un tratto distintivo.
Avevamo anche avuto modo di osservare come, pur arrivando a una definizione finalmente propria e piena dei soggetti di Terzo Settore, l’articolato dei provvedimenti contenesse principi legislativi in bilico tra l’obiettivo di esercitare maggiore controllo e spinte decise verso l’imprenditorializzazione dell’intero settore.
La mancata spinta alla valorizzazione dell’associazionismo di promozione sociale è il punto su cui più volte, spesso inascoltati non solo dalla classe politica, ma anche da gli stessi soggetti della rappresentanza, abbiamo insistito.
Se il termine discontinuità è quello maggiormente utilizzato in queste settimane, chiediamo che venga applicato in ogni caso in ambito di Riforma, per esitare anche a una ridiscussione di alcuni assunti la cui definizione ancora non è stata compiuta.
A maggio indicavamo come obiettivi da presentare all’esterno e interni da realizzare nell’associazione:
- Riaffermare il diritto alla libera autorganizzazione
- Difendere gli storici principi di economia mutualistica e di autonomia
- Denunciare le disparità che i presupposti di cui sopra sono portatori
- Ripristinare i principi di partecipazione e di democrazia rappresentativa
- Rivendicare l’intermediazione come infrastruttura collettiva di contrasto alla solitudine dell’uno che (non) vale unoConsiderare l’economia solidale quale asse centrale dello sviluppo armonico della collettività, capace di riequilibrare le diseguaglianze
- Costruire alleanze con le altre organizzazioni di Terzo Settore per una maggiore incisività della promozione della cultura solidaristica
- Mantenere viva la discussione e l’approfondimento su questi temi con le cittadine e i cittadini
- Rendere praticabili i nuovi bisogni e desideri delle cittadine e dei cittadini restituendo valore e prestigio alle organizzazioni civiche
- Operare di concerto con altri soggetti per la difesa dello spazio civico in Europa
Oggi, in questo quadro mutato, crediamo si possa specificare anche meglio quali siano i nodi essenziali da affrontare, sia in sede di Tavolo Tecnico del Forum del Terzo Settore, sia attraverso ulteriori alleanze (cfr. ACLI, etc.), sia attraverso iniziative autonome di interlocuzione e richiesta all’Esecutivo (Ministri, Sottosegretari, funzionari ministeriali).
Riteniamo che i punti centrali su cui concentrare il nostro sforzo possano essere riassunti nei seguenti
0) Semplificazioni
In generale il carico di adempimenti che il CTS mette in campo per le organizzazioni di Terzo Settore, pur centrando il bisogno di trasparenza, rischia di essere particolarmente oneroso per i soggetti di medio piccola dimensione, specialmente se associativi. Occorre prevedere una ulteriore semplificazione burocratico amministrativa per soggetti associativi, di piccole dimensioni, che già attraverso l’iscrizione al RUNTS adempiono a una serie di passaggi impegnativi
1) Rete nazionale (Art. 41 – CTS)
Individuazione della Rete
Organismi associativi di livello nazionale con presìdi territoriali (provinciali/regionali), anche dotati di autonomia giuridico-patrimoniale, purché legati da un vincolo contrattuale statutario e regolamentare. I presìdi territoriali sono parte integrante della Rete. Conseguentemente pur avendo forma di APS godono delle deroghe previste per le reti nazionali rispetto agli organismi assembleari
Diverse Reti associative preesistenti al Codice sono caratterizzate da presìdi diffusi sul territorio che, pur di diretta emanazione, in quanto istituiti e riconosciuti dall’Associazione nazionale, sono dotati di autonomia giuridico-patrimoniale. Tali enti sono parte integrante della Rete, in quanto attraverso gli stessi si realizza il sistema di “democrazia dal basso” che origina la Rete e che ne caratterizza l’assetto nella governance. Questi enti, proprio perché diretta emanazione dell’Associazione nazionale sui territori, hanno modelli organizzativi, strutturali e procedurali, simili a quelli dell’Associazione nazionale, al fine di mantenere costante il quadro dei riferimenti dinamici e di assetto, lungo l’intera “filiera” della Rete (sistema associativo). È pertanto essenziale che questi siano riconosciuti anche sul piano legale parte integrante della Rete, essendo tali nei fatti e nel modello disciplinare e organizzativo della Rete stessa, pena:
- il disallineamento della ratio legale del riconoscimento del valore sociale e della funzione delle Reti rispetto alla sua applicazione operativa;
- lo scollamento tra la realtà dei tipi operativi del non profit, consolidati da vissuti anche cinquantennali, rispetto al dato legale astratto diversamente concepito e/o restrittivamente interpretato, con la conseguente e sostanziale scarsa utilità concreta della disposizione de qua alle fattispecie di rilievo sopra richiamate;
- la potenziale lesione del principio di preservazione dell’autonomia statutaria “al fine di consentire il pieno conseguimento delle loro finalità (ndr, degli enti) e la tutela degli interessi coinvolti” di cui all’art. art. 2, co. 1, lett. c, legge n. 106/2016
2) Rete nazionale (Artt. 17/41 CTS)
Chi sono i soci nei livelli territoriali della Rete? Chi sono i volontari? Chi sono i lavoratori?
Provincia/Territorio:
- soci = tutti gli iscritti nel territorio di riferimento;
- volontari: i volontari impiegati nel territorio di riferimento;
- lavoratori = lavoratori impiegati nel territorio di riferimento, al netto dei distaccati out
Regione:
- soci = tutti gli iscritti nel territorio di riferimento;
- volontari = i volontari impiegati nel territorio di riferimento;
- lavoratori = lavoratori impiegati nel territorio di riferimento, al netto dei distaccati out
Associazione nazionale:
- soci = tutti gli iscritti sul territorio nazionale;
- volontari = i volontari impiegati nel territorio nazionale;
- lavoratori impiegati nel territorio nazionale, al netto dei distaccati out
La Rete associativa svolge attività che devono essere valutate nel loro contributo complessivo alla comunità di riferimento, in ragione della condivisione della missione sociale, del coordinamento organizzativo, del riferimento unitario a valori e modalità di traduzione degli stessi nelle comunità nei vari livelli associativi.
3) Attività culturali e ricreative di interesse sociale (Art. 5, co. 1, lett. i))
È di centrale importanza concorrere alla definizione di cosa in questo ambito è di interesse sociale, per non dover affrontare successivamente contestazioni sia amministrative che erariali, anche alla luce del successivo articolo 6
Al momento abbiamo redatto alcuni criteri che approdino a detta individuazione, su cui stiamo costruendo alleanza. Detti criteri vorremmo fossero considerati tutti alternativi tra loro (quindi connessi tramite la lettera “o” e non “e”). Si tratta quindi di attività che possano essere svolte nei confronti:
– del corpo associativo da Aps ed Odv (in forma mutualistica quindi)
– di terzi in regime di convenzionamento o con il Patrocinio della P.A.
– di terzi anche in forza di affidamento a seguito di gara, ove sia riconosciuta la rilevanza sociale del servizio culturale affidato
– di terzi in condizioni di fragilità (economica, sociale, di salute, da collocazione geografica ecc. ndr, recuperare categorie Onlus)
– di terzi in luoghi “socialmente sensibili” quali: periferie, luoghi (aree, zone, immobili) da recuperare, zone da valorizzare all’interno del contesto urbano, immobili e strutture affidati in concessione/uso da P.A.
Sono definiti alcuni criteri utili a individuare una presunzione di interesse sociale delle attività in menzione.
Tra queste, quelle svolte utilizzando beni affidati dalla P.A. o in ragione di attività svolte in convenzione con questa, attesa la presunzione di rilevanza delle finalità in chiave sociale che è lecito attendersi dalla scelta operata dell’ente pubblico.
Rientrano anche le attività svolte verso il corpo sociale dalle Aps e dalle Odv, in considerazione della qualifica de facto di “enti di diritto” del Terzo settore che le disposizioni ad esse attribuiscono e della rilevanza attribuita al rapporto associativo dal legislatore, quale fonte di esercizio di pluralismo, democrazia, partecipazione e solidarietà, anche in ragione del contributo di risorse attivato attraverso l’attività volontaria.
4) Attività secondarie, bar sociale e destinazione d’uso
L’art. 6, rispetto alla normativa precedente, limita ulteriormente l’attività degli ETS che possono svolgere anche attività al di fuori del perimetro dell’art. 5, ma soltanto in via secondaria e strumentale all’attività principale.
Ciò significa che la violazione dei relativi parametri, che non coincidono con quelli fiscali, non conduce semplicemente l’ente ad una perdita di vantaggi (come funziona con il bilanciamento commerciale/non commerciale), ma impedisce all’ente la permanenza o l’ingresso nel RUNTS, perché mette in forse la prevalenza delle attività di interesse generale.
Il decreto regolamentare, almeno nel testo licenziato dalla Cabina di regia, stabilisce di fatto una pesante limitazione all’autofinanziamento diretto, affinché queste attività diverse siano ritenute secondarie, devono ricorrere almeno una delle due condizioni, entrambe relative ai ricavi dell’attività determinati in ciascun esercizio:
non devono superare il 30% delle entrate complessive dell’Ets;
non devono superare il 66% dei costi complessivi dell’Ets.
Questa architettura si scontra con tre fatti principali:
- a) il volume delle attività istituzionali è di norma variabile, e in una miriade di piccole realtà non assomiglia neanche lontanamente alla programmazione produttiva di un’impresa; l’attività secondaria, invece, non essere rapidamente ridimensionabile;
- b) la parametrazione e rilevazione dei costi figurativi, nonché l’intreccio con le soglie fiscali aumentano la complessità e l’onerosità del monitoraggio degli Enti e le loro probabilità di sforamento a posteriori, nonché di contestazioni in caso di verifica.
Per le APS “le cui finalità assistenziali siano riconosciute dal Ministero dell’interno” l’art. 85 c. 4 del CTS prevede la la decommercializzazione del bar sociale, nonché dell’organizzazione di viaggi e soggiorni turistici, utilizzando una definizione diversa da quella delle attività dell’art. 6: in questo caso si tratta di una attività “strettamente complementare a quelle svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali” ed effettuata “nei confronti degli associati”.
Dal nostro punto di vista, in continuità con la normativa previgente andrebbero, se non ricomprese, assimilate alle attività di interesse generale di cui al precedente articolo 5, comma 1 (lettera i) per il bar sociale, lettera k) per le attività turistiche), mentre se collocate nelle attività ex art. 6 renderebbero difficile il bilanciamento fra le attività di interesse generale e quelle secondarie.
La questione si riflette anche sul nuovo concetto di compatibilità con le destinazioni d’uso (art. 71 c.1 del CTS), che con la nuova formulazione riguarda le “attività istituzionali, purché non di tipo produttivo”, definizione – che secondo la nota del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 3734 del 15/04/19 – escluderebbe dal beneficio le attività ex art. 6.